Più precisamente dovrei pormi la domanda: cosa mostra la fotografia? e non lasciare un’affermazione aperta come se discuterne fosse semplice.
Iniziamo, quindi, con l’immagine in sè stessa: la fotografia mostra quello che vuole dare a vedere. Ho finito di leggere recentemente “Leggere la fotografia” di Augusto Pieroni, docente all’Università di Roma la “Sapienza” di Storia della fotografia e docente di Arti visive presso la “Scuola Romana di Fotografia”. Alla fine della parte teorica del libro scrive: “[La fotografia ha la] capacità di dire e mostrare qualcosa a chi vuole ascoltarla e vederla, ma anche e soprattutto di mostrarla – quasi a forza – a chi non aveva la minima intenzione di porvi attenzione.” (2003, p189). Questo comporta due e più modi di approccio alla lettura della fotografia: chi se ne interessa per conoscere le stratificazioni dei significati, quindi colui che scende negli strati più nascosti della forma come andare agli inferi della fotografia e scovarci significati arcani (ho esagerato? forse!); e colui che guarda la fotografia perché, come capita con i social media, gli viene posta davanti quasi per forza e ne costata l’esistenza. In entrambi i casi, la fotografia mostra qualcosa: un soggetto e uno sfondo. Da qui parte l’universo, cioè l’intenzionalità di comunicare della fotografia: sia essa in bianco/nero, a colori, di ritratto, paesaggio o street. Il fotografo ha voluto imprimere un instante che, come scriveva Roland Barthes in “La camera chiara” (1980), è ed è stato allo stesso tempo. Mostra così al pubblico una duplice immagine di ciò che sta accadendo: quella che accade con i suoi protagonisti, elementi decorativi e di riempimento, sfondo e quant’altro; e quella che accade per il fotografo.
Diciamola tutta, i fotografi hanno una visione del mondo distorta e, se così non vogliamo chiamarla, diciamo pure diversa. Attraverso la macchina fotografica raccontano la loro opinione del mondo, né disegnano linee e curve, colori, chiaro scuri e più di ogni altra cosa lasciano fuori, eliminano. Tolgono il superfluo. Esattamente quello che si propongono di fare ogni qual volta scattano un pezzettino di mondo e ne escludono un altro; quando tagliano anche in post produzione parti di cielo, persone, scene, mobili, oggetti e soggetti.
Ecco, un’altra cosa che mi viene in mente e che ho letto nel libro di Pieroni: è l’idea o la conferma che in alcune fotografie non c’è solo un soggetto e questo, alcune volte, non è sempre messo in primo piano. Io credo che, in certe fotografie, si confonda il soggetto con l’azione e che il fotografo più che mostrare il soggetto voglia effettivamente mostrare quello che sta facendo il soggetto. Ed ecco che spunta fuori di nuovo il termine “mostrare”. Il fotografo racconta, denuncia, esprime, scrive attraverso la fotografia mostrando un’immagine e lo fa con il solo linguaggio che conosce: quello visuale.
Torniamo al verbo mostrare!
Mostrare e il suo antagonista nascondere: nella fotografia si mostra, si racconta, si scrive un instante. Non si deve escludere, però, il termine nascondere, perché in fotografia quello che non si vuol far vedere si nasconde: alcune volte dietro ai soggetti; altre dentro ombre tanto scure da non poterle distinguere dallo sfondo. Questo per il semplice motivo che non si vuole raccontare quell’elemento lì! Quell’azione, quel soggetto deve stare fuori dalla cornice e, allora, un trucco per non mostrare sarebbe nascondere. D’altro canto è proprio quello che fa la fotografia quando non esplicita il suo significato: lo nasconde in bella vista. Ne altera l’aspetto e lo camuffa. Siamo noi a dover leggere bene fra le “false righe” e capire quanto di profondo c’è in una fotografia e quanto di quel profondo il fotografo ci vuole raccontare.
Leggere una fotografia è saper scrutare fra le pieghe e vedere oltre lo schema e lo sfondo per raggiungere il giusto significato. Badate bene, non ho detto “quanti più significati possibili”, non stiamo giocando con un rebus letterario ne “La Settimana Enigmistica”. Il significato è quello che vuole dare il fotografo, i nostri meccanicismi filosofici non renderanno la fotografia più interessante o più profonda. Se il fotografo vuole scattare una foto a dei pomodori e far vedere quanto sono buoni, il significato di quella fotografia sta proprio lì: il pomodoro è buono! Non che il rosso del pomodoro significa rabbia e che la sua acidità significa la cattiveria che si scaglia contro qualche mal capitato. Nient’affatto! Non andiamo otre al significato di una fotografia. Non esageriamo.
Non di meno, leggere una fotografia significa anche avere la conoscenza giusta per poterlo fare, cioè saper leggere un testo visuale. Linee, simmetrie, colori, bianco/neri, peso degli elementi all’interno della cornice e loro disposizione, iconologia, iconografia, sociologia, etnografia, antropologia, semiotica, linguistica, storia dell’arte, religione, storia e potrei continuare all’infinito.
Leggere, infatti, non guardare!
Fare il lettore non è un lavoro da poco: oltre a saper leggere la fotografia, bisogna saper conoscere, riconoscere cosa c’è dentro un’immagine e cosa fuori, insomma tutto ciò che il fotografo vuole raccontare.
Vi lascio con una citazione di Henri Cartier-Bresson
“Un buon fotografo deve cercare di mettere sulla stessa linea di mira il cuore, la mente e l’occhio.“