Artista fotografa, scrive con la luce dei suoi sentimenti, delle sue esperienze di vita e racconta il mondo con i suoi viaggi. Vincitrice del premio “Chatwin – Camminando per il mondo 2023 con il portfolio “Habitat – Mongolia” ha dimostrato che con 5 immagini si può raccontare la vita di un popolo. Nel suo bagaglio fotografico, troviamo tanti premi e onorificenze FIAF, collaborazioni e commiati, ma, a Valentina tutto questo non interessa molto. Rimane concentrata sul suo lavoro e con umiltà continua a raccontare di sé e del mondo.
La sensibilità di Valentina l’ha portata a esporre nei suoi scatti più di quanto riusciremmo a leggere: ogni scatto parla di se stessa, delle sue emozioni, della sua vita passata. Mentre per Cartier-Bresson la fotografia significa “mettere sulla stessa linea la testa, l’occhio e il cuore”, per Valentina Brancaforte scrivere di luce potrebbe significare mettere la testa, il cuore e i suoi ricordi, quelli tangibili che non vanno via con una scrollata di spalle. I suoi viaggi, il suo modo determinato di scattare fanno capire quanta della sua libertà Valentina mette nel fare quel che le viene meglio: realizzare dei racconti fotografici unici che ti entrano nell’anima.
Il suo ultimo lavoro fotografico, intitolato “Paìs”, è il racconto della vita di Chiara Lucia e di Buscemi, paese d’origine di suo padre che sta pian piano spopolandosi. Chiara Lucia, adolescente, vive le sue giornate fra sport e studio, sempre impegnata, cercando di distrarsi da quel silenzioso paesino di campagna. In questo lavoro Valentina scrive di due vite parallele: quella di Chiara Lucia e la sua. Racconta dei suoi ricordi attraverso quella ragazza adolescente che vive, invece, ancora a Buscemi, di quando si sentiva più libera di scorrazzare per le vie del paese poco trafficate rispetto a quelle della città e di tanti altri ricordi che le sciolgono il cuore.
- Nelle presentazioni dei tuoi lavori hai asserito, più volte, che con la fotografia sei riuscita a esprimere quello che avevi e che hai dentro. In che modo la fotografia è stato ed è un canale di sfogo?
La fotografia è un modo per comunicare. La preferisco alla scrittura, mi viene più semplice da utilizzare per esprimermi (questione di indole e predisposizione probabilmente). Ma come la scrittura, ti offre la possibilità di utilizzare metafore, un linguaggio poetico piuttosto che descrittivo, etc…e puoi portare la macchina fotografica sempre con te. Ma non è tanto il mezzo a fare la differenza. Se hai qualcosa da raccontare prima o poi viene fuori: bisogna avere voglia di lavorarci e mettersi in discussione, con una certa onestà prima di tutto verso sé stessi.
- Tieni molto alle tue radici, e hai ricordi legati al paese d’origine di tuo padre, quel paesino che sta pian piano svanendo. Cosa rappresenta, per te, il paese che è oggi? Come lo vivi? Cosa ti aspetti ogni volta che ritorni a Buscemi?
Il paese di mio padre da piccola era un angolo di libertà, potevo stare per strada e fare cose che in città mi erano vietate. Adesso è un luogo legato alla memoria, dove ritrovo poche persone della mia infanzia, ma tanti ricordi legati soprattutto alla vita in campagna. Lavorare a Paîs è stato un modo per riprendere contatti li, ma non mi aspetto nulla, se non dei luoghi quasi immutati. Forse la speranza che un giorno arrivi la spinta per rivitalizzare tutto. Ci sono luoghi molto belli.
- Ti confronti con gli altri fotografi? Senti la necessità di andare oltre la tua fotografia?
Mi confronto quotidianamente con altri fotografi. Ma non solo, a volte chiedo parere a persone che con la fotografia sembrano avere un legame marginale. L’ultimo mio confronto su un lavoro per me molto importante l’ho avuto con un giornalista. Credo che quello che ha perso la società negli ultimi decenni sia proprio la voglia di fare gruppo e creare insieme, il confronto è un atto di umiltà in fondo…che fa molto a pugni con la società individualista e super (virtualmente) performante in cui siamo immersi. Quindi non credo sia un andare oltre qualcosa (la mia fotografia, come la chiami tu), è semplicemente il darmi la possibilità di stimoli e visioni differenti dalla mia, che reputo di grande valore.
- Come organizzi i tuoi portfolio? E come scegli i concorsi a cui partecipare?
La risposta a tutto è ‘dipende’! Ci sono portfolio così personali su cui non faccio metter mano a nessuno, se non alle mie amiche. A chi mi conosce intimamente. E ci sono lavori che credo abbiano visto tutti i fotografi di cui ho stima e con cui mi confronto da anni. Lavori editati, rieditati, smontati e ricostruiti. Un occhio esterno è importante nella costruzione di un lavoro. Ci sono significati che possono restare nascosti ad un occhio meno esperto o sensibile, ma l’impalcatura del lavoro deve funzionare. Far leggere il lavoro ad altri significa avere una percezione di quanto venga compreso. In generale possiamo dire che per l’editing mi faccio aiutare, ultimamente in particolare mi trovo molto in linea con Fabio Moscatelli. Per i concorsi, i miei amici me ne suggeriscono a decine…ed io sono estremamente pigra. Ogni concorso ha le sue regole, un numero variabile di foto per portfolio… è un vero lavoro star dietro ai concorsi, e non ho molto tempo da dedicarci. Fondamentalmente quando li scelgo è per attinenza alla tematica, per credibilità del concorso (ho imparato ad evitare quelli per cui la spesa è maggiore del guadagno, o per cui il numero di finalisti è quasi pari a quello dei partecipanti…fortunatamente nella massa ne esistono ancora di seri, gratuiti e gratificanti per il fotografo) e per mia disponibilità di tempo.
- Nel paese d’origine di tuo padre, Buscemi (n.d.r.) hai voluto incentrare il tuo lavoro direi quasi auto rappresentativo. Sei partita dalle tue radici e raccontato, invece, di una ragazza che è, in un certo senso, costretta a vivere a Buscemi e, anche se presa da mille impegni, ancora non può affrontare il mondo fuori. Non hai pensato che, invece, tu sei al di fuori di quel confine che rappresenta il paese di Buscemi?
Il lavoro è una grande metafora, di una fase della vita (l’adolescenza) e anche di condizioni che non sono necessariamente legate al luogo in sé in quanto paesino, ma al contesto…e possono ritrovarsi anche in grandi città.
Grazie Valentina!