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L’immagine nel ventunesimo secolo

Immagine specchio della realtà (prima parte).

Cos’è l’immagine nel ventunesimo secolo? Come viviamo in un mondo composto, gran parte, dalle immagini?

Decenni fa si diceva che il mondo era donna, perché a dominare il panorama economico erano soprattutto prodotti necessari al sesso femminile, quindi il mercato era sopraffatto da una prevalsa del sesso debole che stava conquistando il mondo con una domanda sempre crescente di prodotti per la bellezza, per il corpo, per la casa, per la moda.

Adesso il mondo è variopinto, la domanda non è più rosa, ma arcobaleno. Ogni genere ha diritto di rivalsa sul mercato e, soprattutto, ha il suo posto nel mondo.

Sto forse divagando un po’! Lo so, ma il mio discorso vuole arrivare a vedere il mondo di oggi, quello del ventunesimo secolo, cambiato, diverso da come l’ho vissuto io da bambina (io ho vissuto i miei anni felici a cavallo fra gli anni settanta e ottanta).

Il mondo adesso è costituito da immagini, il mondo stesso viene rappresentato da immagini: sociologicamente e semioticamente l’immagine ha conquistato il suo modo per trasformare il mondo e significarlo.

Siamo talmente abituati a vedere migliaia di immagini davanti ai nostri occhi che non ci rendiamo conto che l’immagine è diventata fluida, che non ha più alcuna importanza se quello che vediamo rappresenta la bellezza o uno tragedia, il lavoro di un bravo fotografo o un ricordo scattato da un cellulare. L’immagine non ci interessa che per una frazione di secondo: siamo divoratori di immagini, ne ingurgitiamo, ne compulsiamo (come scrive Roland Barthes in La Camera Chiara – Nota sulla fotografia del 1980) talmente tante che potremmo raccontare la nostra giornata attraverso le immagini ed eliminare le parole.

A noi, che di fotografia viviamo perché ci lavoriamo o perché ne siamo appassionati, passano per la mente molte riflessioni: prima di tutto, non ci soffermiamo più davanti alle immagini, non godiamo più della bellezza che un’immagine in quanto scatto, in quanto lavoro dell’Operator (colui che scatta la fotografia che insieme allo Spectrum, il soggetto fotografato e lo Spectator, colui o la cosa fotografata, sono per Barthes i tre soggetti delle fotografia) ci fa assaporare come espressione di un attimo importante, come storia racchiusa in un testo visivo; e questo ci porta a una seconda riflessione, cioè quella di non avere più alcun rapporto con altri medium se non quello visivo e mediatico: l’uomo non legge più, non scrive più, non riesce più a generare pensieri razionali, critici e dinamici.

Ci ritroveremo in un mondo rappresentato solo da immagini e brevi video (come quelli dei social) che ci affollano la mente di contenuti isolati e non coerenti, che ci ingannano, che ci trastullano ma non ci istruiscono, che ci fanno ridere per qualche istante e poi ci lasciano alla vita di tutti i giorni.

Voglio rappresentare questa prima parte dell’articolo con un’immagine confusa, perché, sono sicura, che rappresenti il mondo nelle immagini del ventunesimo secolo.

Agata Lagati – Alberi