“Voi che cosa intendete quando parlate di fotografia?”
Questa semplice quanto disarmante domanda si trova nel primo capitolo del libro di Sara Munari intitolato “Raccontare per immagini” edito da Apogeo.
E’ una domanda che mi pongo spesso e che vorrei porre anche a tante persone che mi dicono di essere appassionati di fotografia: “Cosa intendi come fotografia?“.
Sarebbe bello sapere cosa, effettivamente, ognuno di noi vede nella fotografia intesa come atto del comunicare. Perché, se ci facciamo caso, molti di noi (includo me stessa perché ne sono consapevole che ho sempre scattato fotografie rispettose delle regole, ma che magari hanno comunicato poco se non quello che si vede realmente nelle immagini), scattano per ricordare, perché spinti dalla voglia di mostrare cosa hanno fatto, dove sono stati, della bellissima esperienza che li ha coinvolti talmente tanto da fare centinaia e centinaia di fotografie con un’anima piena solo delle proprie emozioni.
Io ho la certezza che le emozioni che abbiamo vissuto attraverso un’esperienza non si possono tramandare in alcun modo. Come quando ascolto il racconto di un’amica: lei entusiasta che racconta la sua serata e io che l’ascolto con aria fintamente interessata e coinvolta. Non ho vissuto io in prima persona quell’esperienza, quindi non so esattamente cosa ha provato.
Ecco, la fotografia ha lo stesso modo di raccontare (via vera in latino): il fruitore o lettore può solo cercare di capire cosa vogliamo dire, ma, alla fine, avrà la sua opinione e le sue sensazioni quando guarda la nostra fotografia.
Questo per dire che, quando scattiamo, lo facciamo soprattutto per noi stessi. Lo facciamo per ricordare, per scandire il nostro tempo, le nostre esperienze (badate, lo facciamo anche per raccontare, ma dobbiamo saperlo fare).
Quante volte abbiamo aperto gli album di famiglia, adesso digitali, per vedere come eravamo, cosa abbiamo fatto e collocarlo nel tempo? Ritorniamo alla teoria che la fotografia è un metro di misura del tempo: scandisce dei momenti della nostra vita e ne segna dei check point che sono quasi di vitale importanza. Per non parlare dell’aspetto sociologico: ogni scatto rappresenta la società in un preciso momento ed è testimone involontaria del cambiamento di una cultura.
Ma il punto non è questo!
Parliamo di percezione visiva di un’immagine: cosa ci spinge a definire un’immagine bella e una poco interessante?
Risposta semplice? Io direi di no!
La risposta risiede in ognuno di noi. Cosa vediamo e quanto vediamo in un’immagine è frutto del nostro percorso come persone, come fotografi (o amanti della fotografia), come lettori e come critici. E’ proprio un percorso: un divenire di significati che maturano in noi e che ci spingono ad avere una visione sempre più critica della fotografia (o almeno dovrebbe essere così).
Quando ho cominciato a studiare Scienze della comunicazione i primi argomenti erano proprio sull’argomento comunicare: attori, modi, canali. Un argomento che mi ha sempre segnato è stato “la lettura critica” dei nuovi media, dei social, della società (tema che è anche trattato molto in pubblicità, per esempio). Saper leggere attentamente un messaggio che scorre davanti agli occhi per alcune frazioni di secondo (tanto è la fruizione dei messaggi sui social), è importante: l’ignoranza critica è pericolosa perché porta a un assenso di tutto ciò che vediamo senza avere un’opinione propria. Sappiate che questa ignoranza è un nostro bagaglio culturale, quindi dobbiamo istruirci, dobbiamo imparare ad avere una visione di ciò che stiamo “leggendo”.
Inoltre, un’immagine può evocarci tante cose e, quindi, farci provare emozioni che risalgono a nostri trascorsi. Può essere iconografica e ricordarci un’opera d’arte, risalire, così, al nostro bagaglio culturale tramite il nostro inconscio.
Tutto sempre e molto personale, quindi (se mi permettete un consiglio!) quando raccontate sappiate essere critici, innanzitutto, con le vostre immagini. Riconoscete il fatto che chi guarda le vostre fotografie ha una propria visione, un altro punto di vista e altre emozioni sulle vostre stesse immagini e che, di conseguenza, può dare un altro significato al vostro racconto.